“Oltre il colore della mia pelle”

Mercoledì 17 Luglio 2013

Intervista a Cécile Kyenge, da medico oculista a donna di governo

Noi di Alliance Medical abbiamo conosciuto Cécile Kyenge, oggi ministro dell’Integrazione, nei panni di medico oculista, quando ha praticato presso il centro diagnostico Check-up Center di Modena. Per cinque anni – fino al suo ingresso nel Governo – ha fatto parte dell’equipe di professionisti del Poliambulatorio emiliano. E, un po’ alla volta, con la sua competenza, la professionalità e con i suoi modi riservati e gentili è riuscita a intaccare quella diffidenza con cui i pazienti più anziani la guardavano incuriositi all’inizio. Con il tempo, ci raccontano i suoi ex colleghi, Cécile Kyenge è diventata il punto di riferimento di numerosi medici di base e di molti pazienti che, pur di essere visitati e seguiti da lei, si adeguavano agli orari e agli spazi rimasti liberi, anche privatamente, con lunghe liste d’attesa.

Ci può raccontare il suo rapporto con i pazienti e come si è evoluto quando l’hanno conosciuta?
Inizialmente il rapporto con i pazienti è stato di diffidenza, anche perché non c’erano molti medici di origine africana in Italia. Alcuni, trovando insolito un medico nero, mi chiedevano se fossi americana. Altri avevano paura a essere toccati da me. Ma è cambiato tutto molto in fretta. Il rapporto con i pazienti, prima a Reggio Emilia poi a Modena, è migliorato tantissimo, al punto che dopo un anno il mio ambulatorio era sempre pieno. Si è riusciti, insomma, ad andare oltre il colore della mia pelle e a valutarmi sulla base delle mie competenze. Ancora oggi ho una lunga lista di pazienti che chiedono il mio ritorno.

Facciamo un passo indietro. Com’è stato il suo arrivo in Italia? Quali difficoltà ha riscontrato? Ha deciso di diventare medico in Congo o una volta in Italia?
Sono arrivata in Italia a 19 anni per studiare Medicina all’Università Cattolica di Roma. In Congo ero stata assegnata, senza possibilità di scelta, alla facoltà di Farmacia: è per questo che ho deciso di partire, diventare medico era il mio sogno. Le vicissitudini sono state varie e non sempre facili. La borsa di studio che mi era stata promessa, per un caso del destino e qualche cavillo burocratico, non mi è stata più concessa, e quindi ho dovuto rimediare con vari lavoretti, spesso umili, per poter sopravvivere in una grande città come Roma. Ho poi scelto di trasferirmi in una città più a misura d’uomo, Modena, dove, col tempo, mi sono definitivamente stabilita. Alcune delle difficoltà che ho vissuto si possono immaginare: una donna nera, giovane, in un Paese sconosciuto. Ma non tutto è stato negativo, perché ho anche avuto modo di scoprire quanto i legami, le amicizie possano rivelarsi importanti nelle fasi critiche della vita.

Tornerebbe a esercitare la professione di oculista per un periodo nel suo Paese di origine?
Dedico spesso, come oculista, le mie vacanze a progetti di cooperazione in Congo. Per il resto, ho scelto di vivere in Italia.

Secondo lei, a che livello è l’integrazione nel mondo medicale e sanitario italiano?
Il percorso è già avviato. Negli ultimi dieci anni ho portato avanti, all’interno dell’Azienda Sanitaria di Modena, progetti di formazione per gli operatori sanitari. Da una parte, sono gli stessi operatori a richiedere maggiori competenze per capire meglio il mondo delle migrazioni: la conoscenza delle abitudini e delle culture di provenienza delle comunità dei migranti aiuta a rendere più efficace il proprio lavoro. Dall’altra, progetti avanzati di integrazione a livello medico, seppure limitati ad alcune regioni, lasciano ben sperare. Sono sicura che la ministra della Sanità, Beatrice Lorenzin, dimostrerà molta sensibilità sull’argomento. Bisogna lavorare affinché i migranti conoscano il nostro sistema sanitario e, in particolare, la cruciale figura del medico di famiglia. C’è bisogno, inoltre, di diffondere la cultura della prevenzione, di istruire i migranti sulle differenze che intercorrono tra il modello sanitario nostrano e quello del Paese di origine. Particolare attenzione, inoltre, va data alle donne, che sono il punto di collegamento tra famiglia e società, nonché alla cura dei bambini.

Elisa Pasino
Ufficio Stampa

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